“Smartphone in classe. Ma la scuola non insegna a scrivere”.
Titola così il suo articolo, pubblicato dal Corriere della Sera lo scorso 5 Febbraio, Claudio Ambrosini, per denunciare che nella Primaria manca una programmazione didattica adeguata. Il corsivo cede a stampatello e smartphone, con gravi ricadute sui processi di apprendimento.
Il Dott. Caludio Ambrosini è nostro collega TNPEE e fa parte del Centro di Ricerca e terapia neuropsicomotoria di Milano.
Passando dal punto di vista di Francesco Sabatini e di quello di Giovanni Belardelli, Ambrosini ci porta verso una importante riflessione che vuole sgomberare il campo da ogni equivoco sulla scrittura corsiva e scrive “la scrittura corsiva intesa unicamente nella sua funzione esecutivo-motoria non è uno strumento del pensiero è essa stessa, nella sua fase di apprendimento, pensiero.”
Ambrosini invita a riflettere sulle modalità e il tempo necessario a costruire il grafema in rapporto sia ai processi organizzativo-motori, sia alla loro contemporaneità nei processi di significazione della singola lettera e della successiva fusione sillabica quando il bambino costruisce i primi legami grafo-motori tra consonante e vocale. Il dito sulla tastiera annulla, secondo lui, questo processo e può essere che ne favorisca di altri, ma allo stato attuale ciò non è ancora avvenuto o non si è ancora stati in grado di verificarlo.
La realtà scolastica ci pone a confronto con una grande quantità di bambini certificati come Dsa (Disturbo specifico di apprendimento) e Bes (Bisogni educativi speciali). Le ragioni sono diverse e non tutte riconducibili alla scuola, ma secondo Ambrosini è indubbio che sono completamente assenti linee guida del ministero dell’Istruzione sugli strumenti necessari e indispensabili affinché gli scolari della scuola primaria apprendano in funzione della costruzioni delle basi, linguaggio e movimento, su cui si costruirà il sapere futuro.
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