BIOETICA E RIABILITAZIONE

 

Presidenza del Consiglio dei Ministri

Comitato Nazionale per la Bioetica

BIOETICA E RIABILITAZIONE

17 marzo 2006

PRESENTAZIONE

Sollecitato da una richiesta dell’Associazione La nostra Famiglia, che ha la sede principale a Ponte Lambro (Como) e che svolge una meritoria attività di ricerca, cura e riabilitazione delle persone diversamente abili, il Comitato Nazionale per la Bioetica, nella seduta plenaria del 19 novembre 2004, ha deciso con voto unanime di attivare un gruppo di lavoro sul tema Bioetica e riabilitazione. Al gruppo hanno aderito, tra i membri del CNB, i proff. Battaglia, Binetti, Bompiani, Borgia, Flamigni, Palazzani, Umani Ronchi; coordinatori del gruppo sono stati nominati i proff. Michele Schiavone e Maria Luisa Di Pietro. Alla prof.ssa Di Pietro va una gratitudine particolare, perché si è accollata l’onere di redigere materialmente, dopo numerose sedute di gruppo, la bozza definitiva del documento, che è stato presentato al Comitato riunito in seduta plenaria il 17 febbraio 2006, per venir poi definitivamente e unanimemente approvato il successivo 17 marzo.

A pochi sfuggirà il rilievo di questo testo, che amplia la tradizionale prospettiva della bioetica clinica, attivando considerazioni psicologiche, antropologiche e sociali di estremo rilievo. I lettori più attenti noteranno come in queste pagine si sottolineano sì i meriti indiscussi della medicina “scientifica”, ma si insista altresì e soprattutto sull’immensa importanza che possiede un impegno interdisciplinare, integrato e umano al problema della disabilità in vista del suo trattamento ottimale. Per quanto lucide, coerenti ed anche sofisticate possano essere le dimensioni dottrinali dell’ etica medica e della bioetica, resta fermo che nessuna prassi di cura può essere fino in fondo se stessa se ritiene di potersi radicare esclusivamente nella forza del pensiero: è l’incontro con chi chiede di essere curato a rivelarsi in ultima istanza decisivo: un incontro per la cui serietà non può bastare, ovviamente, una generica buona volontà e meno che mai una calda, generosa, ma tante volte inconcludente, emotività. Questo documento del CNB vuole richiamare tutti gli operatori del settore e tutti coloro che hanno pubbliche responsabilità in materia sanitaria e assistenziale alle loro responsabilità culturali, sociali ed anche epistemologiche. Ma vuole altresì, e bisogna sottolinearlo fino in fondo, ricordare che l’autenticità della bioetica si manifesta nel momento in cui essa dimostra di avere la forza di alimentare una prassi relazionale, capace di sublimare il mero essere-con-l’altro nel ben più arduo, ma anche esistenzialmente ben più autentico, essere-per-l’altro.

Comitato Nazionale per la Bioetica

Francesco D’Agostino
Presidente del

 1. PREMESSA

Il tema della riabilitazione è stato oggetto di riflessione bioetica solo di recente: molteplici le ragioni, tra cui l’inserimento tardivo di questa branca medica nei piani programmatici del Sistema Sanitario Internazionale e la complessità della problematica a fronte di differenti forme di disabilità e di impegno riabilitativo. Inoltre, il dibattito – specificamente bioetico – sull’esercizio dell’autonomia del paziente, sulla qualità della vita, sulla giustizia e sull’allocazione delle risorse, nonché il drammatico incremento del numero di persone con disabilità (a seguito di incidenti stradali e lavorativi e dell’innalzamento dell’età media della popolazione), hanno incentivato una trattazione sistematica del tema solo a partire dalla fine degli anni ’70. Si assiste, così, alle prime pubblicazioni in materia e ai primi pronunciamenti da parte di organismi internazionali1.
Tra i risultati ottenuti vi è stato un graduale ma irreversibile scardinamento dei tabù connessi con la disabilità e la riabilitazione, e un diverso approccio – anche linguistico – alla persona con disabilità. Non più, infatti, “invalido”, “handicappato”, “disabile”, quanto piuttosto “persona con disabilità” al fine di porre l’accento sia sul valore di ogni persona umana a prescindere dalla sue condizioni, sia sul fatto che la disabilità non è da considerare una condizione oggettivamente negativa quanto piuttosto in relazione con un ambiente fisico, culturale e sociale che non è in grado di valorizzare le potenzialità (da cui anche la locuzione “persona diversamente abile” o “persona diversabile”) che si possiedono2. La particella “con” limita, inoltre, la connotazione attribuita alla persona sottolineandone il carattere di attributo conseguito e non di attributo soggettivo.
Il diverso approccio linguistico ha, a sua volta, portato ulteriori elementi di giustificazione all’intervento riabilitativo in particolare, e al prendersi cura della persona con disabilità in generale. La “pre-occupazione” per l’altro è, infatti, da sempre condizionata dal riconoscimento del valore dell’altro e il prendersene cura, prima ancora che una questione di decisioni, è una questione di visione, cioè di capacità di vedere l’altro nei suoi concreti bisogni di persona umana.
1 Si vedano, ad esempio, gli articoli e le voci pubblicati su Archives of physical medicine and rehabilitation (1980), Hastings Center Report (1987) e sulla Encyclopedia of Bioethics (1978, 1995). Tra i primi interventi a livello internazionale, si ricordano la Dichiarazione sui diritti delle persone handicappate delle Nazioni Unite (1975) e la Risoluzione AP (84)3 del Consiglio d’Europa – Comitato dei Ministri (1984) che sintetizza i principi di inserimento socio-culrurale della persona con disabilità.
2 Come è noto, la classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed handicap (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap, “ICIDH”) proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980, è stata il primo tentativo di superamento del modello tradizionale che identificava le malattie attraverso una semplice classificazione nosologica ed escludeva ogni altro elemento atto a determinare il benessere della persona. L’ICIDH si basa su tre parametri strettamente correlati: 1. il danno funzionale di un apparato (Impairment: compromissione o lesione organica); 2. la perdita di capacità personali (Disability: riduzione parziale o totale delle capacità di compiere un’attività); 3. i conseguenti svantaggi esistenziali (Handicap: riduzione dello svolgimento di un ruolo a seguito dell’impairment e/o della disability). Risulta, quindi, evidente che la persona non viene valutata in base solo alla sua capacità lavorativa ma anche alle sue risorse potenziali che permettono un’attiva partecipazione relazionale e sociale. Una riflessione che – come si vedrà di seguito – si sviluppa in parallelo all’evoluzione del concetto di salute.

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