Figli di Una Stessa Madre

Psicomotricisti e TNPEE

Figli di una stessa madre

 

A cura di Livia Laureti

L’articolo è disponibile sul sito della FIMP all’interno del numero 04 ’11 della rivista Il Medico Pediatra.

 

La Storia

Che cos’è la psicomotricità? Quali sono i suoi fondamenti teorici? E le ricadute in ambito pedagogico e terapeutico?

La psicomotricità è una disciplina che considera la persona in modo globale, ovvero come stretta unione tra struttura somatica, affettiva e cognitiva, rispettandone il suo modo originale di essere/agire che risente della storia affettiva e investe tutti i parametri dell’ambiente in cui vive: spazio, tempo, oggetti, persone.

La culla della disciplina è la Francia, la data di nascita è l’inizio del secolo scorso, con un primo significativo esordio a cura di un medico e filosofo francese, Henry Wallon, il quale pubblica “L’origine del carattere nel bambino”, mettendo a fuoco il rapporto tra il carattere ed il movimento, ponendo l’accento soprattutto sulla sua componente tonica.

All’indomani della II Guerra Mondiale Julien De Ajuriaguerra, psichiatra, neurologo, anatomopatologo, psicoanalista, apre all’Ospedale Roussel di Parigi un “Servizio di rieducazione dei disturbi del linguaggio e dei disturbi psicomotori del bambino” ed orienta la sua ricerca sulle modificazioni del tono muscolare in rapporto alle emozioni nei primi anni di vita, sulla relazione madre-bambino nel dialogo tonico, sulla genesi delle stereotipie, sull’evoluzione delle sincinesie e delle paratonie.

De Ajuriaguerra considera la persona nella sua completezza di psiche e corpo postulandone l’unità psicosomatica; il suo “Manuale di psichiatria del bambino” si può considerare la prima carta della psicomotricità e della terapia psicomotoria. Importanti contributi provengono in quello stesso periodo dagli studi sulla psicologia infantile di René Zazzo e da quelli sulla disgrafia e sulla lateralità di Marguerite Auzias.

Della stessa epoca sono gli apporti dell’epistemologo ginevrino Jean Piaget, il quale studia l’intelligenza come processo di adattamento all’ambiente il cui equilibrio poggia sui due poli dell’assimilazione e dell’accomodamento e che, nei primi due anni di vita, si sviluppa attraverso condotte senso-percettivo-motorie.

Il movimento è considerato, quindi, il motore della costruzione dell’intelligenza, definita per l’appunto, nel suo primo stadio di sviluppo, intelligenza senso-motoria. Tutti questi studi mettono in luce e convergono sullo stretto intreccio tra atto motorio-affettività-intelligenza, tanto più forte e meno scindibile quanto più è precoce l’età dell’individuo.

 

 

Verso la fine degli anni ’60 in Francia, accanto a questo filone di studi di matrice clinico-riabilitativa, si sviluppano altre riflessioni ed esperienze provenienti dall’ambito pedagogico e da quello dell’educazione motoria. Jean Le Boulch, professore di scienze motorie e medico, sostiene la necessità di un superamento della dicotomia mente-corpo e fonda la sua ricerca sull’integrazione tra scienze umane e scienze biologiche.

A lui si deve la centralità dello schema corporeo e la progressiva strutturazione di una presa di coscienza personale, in equilibrio tra sensibilità, affettività e razionalità. Un ulteriore contributo in questo senso proviene da André Lapierre e Bernard Aucouturier, entrambi professori di educazione fisica, chinesiologo il primo e ri-educatore il secondo, che sottolineano quanto, sotto un’attitudine fisica e morfologica del corpo, ci sia sempre un’attitudine psicologica e cognitiva e quanto l’integrazione dei diversi processi vada a promuovere lo sviluppo del bambino.

La concezione attuale della psicomotricità è il risultato di questa lunga evoluzione che trae origine dalla pratica clinica, pedagogica, ma anche dalle diverse correnti di pensiero che caratterizzano le concezioni europee sul corpo e il movimento e la loro utilizzazione a fini educativi e terapeutici. Rispetto all’età evolutiva la psicomotricità si può considerare oggi una disciplina che intende supportare i processi di sviluppo dell’infanzia, valorizzando il bambino come essere globale, che si esprime e realizza attraverso la propria azione nel mondo, la quale investe l’uso dello spazio e degli oggetti, l’interazione con l’altro, la capacità di rappresentarsi attraverso il gioco, il movimento, la parola.

Che cosa accade In Italia?

In Italia la cultura psicomotoria si diffonde negli anni ’70, periodo in cui fervono la riflessione ed il dibattito che condurranno alla chiusura delle scuole speciali per i bambini disabili. Come in Francia questa nuova visione dell’essere umano permea subito tanto l’ambito educativo-pedagogico quanto quello sanitario-riabilitativo.

Nel 1968 viene pubblicato il testo “Educazione psicomotoria e ritardo mentale” dei due francesi Pierre Vayer e Luis Picq, i quali sostengono come l’azione educativa ed il contesto formativo debbano essere concepiti in funzione del bambino e rapportati all’età e ai bisogni tipici della fascia di età. Si deve a questi autori il primo “esame psicomotorio” pubblicato in Italia, cioè l’osservazione del comportamento del bambino volto a definire il suo profilo in un determinato momento della vita. La psicomotricità aiuta a capire le difficoltà del bambino, propone modelli di intervento e in molti casi viene adottata in sostituzione della didattica speciale. Nello stesso periodo si collocano le prime esperienze italiane di terapia psicomotoria, con bambini sordi e bambini con disturbi dello sviluppo, condotte nei centri socio-sanitari di zona e nei centri di igiene mentale.

Nel 1973 la Regione Lombardia in collaborazione con l’A.I.A.S. attiva il primo corso biennale per educatori e tecnici della psicomotricità; negli stessi anni nascono nel nord Italia le scuole private, con corsi biennali e poi triennali, e la psicomotricità entra nelle scuole dirette a fini speciali per terapisti della riabilitazione. Il primo convegno nazionale di psicomotricità si tiene nel 1981 Salsomaggiore, il secondo nel 1982 a Firenze, il terzo ancora a Salsomaggiore nel 1985.

Si avverte l’esigenza di armonizzare i percorsi formativi, pur nel rispetto dei differenti stili che riflettono le molteplici radici di questa disciplina, e nel 1986 i direttori delle scuole di psicomotricità si riuniscono a Roma presso l’Istituto di Neuropsichiatria dell’Università La Sapienza con il coordinamento del neuropsichiatra infantile Prof.Giovanni Bollea. Un anno dopo, nel 1987, nasce l’Associazione Professionale Unitaria Psicomotricisti Italiani Anupi, che si propone di riunire e dare casa alle diverse anime della psicomotricità, tutelando la specificità di questa professione.

Dopo quasi dieci anni di faticoso e non sempre facile lavoro, nel 1996 il decreto Costa, che non riconosce la peculiarità ed originalità della terapia psicomotoria considerandola una sorta di specializzazione della fisioterapia, divide i professionisti dell’Anupi sul percorso e sulle azioni da intraprendere per contrastare questa inaccettabile posizione.

Nel 1997 la concertazione con i neuropsichiatri che dirigono le ex scuole dirette a fini speciali, trasformate in Corsi di Diploma Universitario (legge 341/90), porta al riconoscimento della figura professionale del Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (Tnpee), quale professione sanitaria nell’ambito degli otto profili della riabilitazione,  atraverso il decreto 56 del 1997. La formazione del Tnpee avviene dal 1997 al 1999 attraverso il corso di diploma universitario triennale e dal 1999 attraverso il corso di laurea triennale.

La Realtà Formativa

Da 14 anni esistono dunque in Italia due figure professionali figlie della psicomotricità: lo Psicomotricista e il Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, entrambe riconosciute e tutelate dall’Anupi che mantiene al suo interno due distinti registri professionali. Va precisato che attualmente oltre il 40% dei professionisti iscritti all’Anupi possiede entrambe le qualifiche.

Quali sono le differenze e gli aspetti comuni tra i due professionisti?

Differenze – Formazione

TNPEE

Sono i laureati in terapia della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, sono abilitati all’esercizio della professione sanitaria sia in ambito pubblico che privato; la formazione è conseguita all’interno dell’Università, presso la Facoltà di Medicina, ed è di tipo teorico-pratico: circa 2/3 dei CFU sono dedicati alla conoscenza dello sviluppo del bambino, delle malattie neuropsichiatriche infantili e delle tecniche riabilitative, mentre 1/3 è dedicato al tirocinio. La formazione personale corporea deve essere conseguita al di fuori del corso di laurea in quanto non è attualmente prevista.

PSICOMOTRICISTA

Attualmente gli Psicomotricisti sono prevalentemente coloro che hanno conseguito una formazione triennale post diploma presso le scuole storiche private nelle tre aree teorica, pratica e personale corporea, alla quale si sommano spesso altri percorsi formativi universitari e non.

L’Anupi per maggiore chiarezza degli ambiti di intervento e a tutela dell’utenza, individua il seguente percorso per coloro che desiderano iscriversi all’albo degli Psicomotricisti: laurea triennale (in scienze della educazione, in scienze della formazione primaria, in terapia neuropsicomotoria, in scienze motorie, in psicologia) + master universitario o percorso formativo in ambito educativo-preventivo riconosciuto dall’Anupi + corsi professionalizzanti nell’ambito della formazione personale corporea e del tirocinio riconosciuti dall’Anupi.

Differenze – Settore d’Intervento

TNPEE – Sanitario

Il Tnpee è un operatore sanitario dell’area della riabilitazione. Opera nell’ambito della prevenzione ed in ambito clinico-terapeutico, in enti pubblici e privati, con sedute di terapia individuale o di piccolo gruppo, rivolte a bambini che presentano disturbi dello sviluppo. La caratteristica dell’intervento è rappresentata da un lavoro rivolto non tanto al deficit, ma all’integrazione delle competenze emergenti, ivi incluse quelle atipiche.

PSICOMOTRICISTA – Settore Socio-Educativo

Lo Psicomotricista è un operatore socio-educativo che opera prevalentemente in contesti educativi come la scuola o centri territoriali, pubblici e privati, che svolgono attività volte a promuovere il benessere dell’infanzia. L’intervento psicomotorio è rivolto a tutti i bambini ed è orientato ad attivare il loro potenziale evolutivo, valorizzando la dimensione relazionale tra adulto bambino, la dimensione del gruppo naturale dei pari, la dimensione ludica e la dimensione creativa, ponendo un particolare accento sullo sviluppo dell’integrazione delle diverse funzioni: motoria, emotiva, intellettiva e sociale.

Aspetti Comuni

Entrambe le figure svolgono con titolarità ed autonomia professionale i loro interventi nei rispettivi settori e collaborano con le èquipes multidisciplinari formate dagli operatori dell’area pediatrica, pedagogica, sanitaria clinica e riabilitativa. Tenendo conto di quanto illustrato sulle origini e sull’evoluzione della disciplina, delle trasformazioni del contesto formativo italiano e degli aggiustamenti nei piani di studio che ancora si rendono necessari per sostanziare e consolidare i due profili (per es. la formazione personale corporea dei tnpee), possiamo tuttavia individuare negli Strumenti e nel Setting gli aspetti comuni attraverso i quali questi professionisti si qualificano e si differenziano dalle altre figure professionali che a vario titolo operano con l’infanzia.

Strumenti Specifici

L’osservazione-valutazione psicomotoria: per individuare l’area di potenziale sviluppo entro cui collocare l’intervento, per descrivere i modi dell’azione e la qualità dell’inter-azione le azioni: modulandole attraverso le categorie del tono muscolare, della postura, della mimica, della voce, dello spazio, del tempo e dell’oggetto, per facilitare l’interazione la dinamica corporea: per dar voce ai messaggi veicolati dalle azioni del bambino, per connettere azioni non integrate, per ricomporre parti di esse in un’azione significativa il gioco inteso come esperienza di crescita evolutiva, di comunicazione e relazione, come obiettivo principale di salute del bambino la motivazione suscitata dal piacere (del movimento, del gioco, della relazione), che attiva tutte le risorse del bambino ed apre al cambiamento.

Setting

– Lo spazio ampio, luminoso (ma oscurabile), abbastanza isolato dai rumori esterni e con un pavimento adatto alle attività al suolo.

– Il materiale (materassi, cuscini, palle, cerchi, teli, corde, mattoni, bastoni, pennelli, carta…).

– Il tempo della seduta, solitamente di 45/60 minuti per incontri individuali, che può estendersi fino a 1 ora e trenta per i gruppi, sia educativi che terapeutici; è il tempo che l’operatore mette a disposizione del/i bambino/i e include anche il primo contatto e il momento del distacco.

– La capacità di ascolto, il ruolo di facilitatore rispetto alla naturale evoluzione del bambino e di attivatore delle risorse personali che emergono gradualmente nelle situazioni di gioco.

– L’attitudine specifica, grazie alla quale onosce e utilizza consapevolmente a propria espressività corporea, sa osservare, leggere e condurre l’espressività corporea del/i bambino/i nella direzione degli obiettivi prefissati.

L’invio

Come già precisato esiste un intervento psicomotorio in ambito socio- ducativo che si rivolge a tutti i bambini volto ad attivare il loro potenziale evolutivo, particolarmente utile ed efficace nelle fasi precoci dello sviluppo. L’intervento psicomotori rappresenta in questo caso un’esperienza educativa originale, in cui i bambini possono vivere la dimensione ludica, potenziando le proprie abilità motorie, sociali, comunicative.

Esso si colloca in una dimensione di prevenzione primaria, indirizzata alla crescita sana ed equilibrata, promuovendo la regolazione personale nell’azione e nel gioco, rinforzando i processi di individuazione e di socializzazione, sollecitando lo sviluppo della creatività e del decentramento cognitivo.

Parallelamente esiste un intervento neuropsicomotorio in ambito sanitario che si esplica attraverso una terapia  individuale o di piccolo gruppo rivolta a bambini che presentano disturbi dello sviluppo. L’osservazione-valutazione neuropsicomotoria, inoltre, evidenziando le interrelazioni esistenti tra aspetti affettivi, cognitivi, motori e metacognitivi di ogni singolo disturbo, fornisce dati utili al clinico impegnato nella formulazione della diagnosi.

Ache età l’intervento è più efficace?

L’intervento copre una fascia di età molto estesa che va dalla prima infanzia all’adolescenza, ma esprime la sua massima efficacia nell’età precoce 0-3 e nella fascia 4-8, laddove le abilità emergenti pur essendo riconducibili a specifici settori (motorio, linguistico,…) non possono essere scisse dalle funzioni di attenzione, percezione, memoria, motivazione, regolazione affettiva promosse attraverso esperienze totali e globalizzanti caratteristiche dell’approccio psicomotorio.

Quali sono i disturbi per i quali la terapia è particolarmente indicata?

Disturbi pervasivi dello sviluppo (disturbi dello spettro autistico) disturbi dell’attaccamento e della regolazione emotivo-comportamentale ritardo mentale disturbi della coordinazione motoria (impaccio, maldestrezza, disprassia, inibizione) disturbi di sviluppo (ritardo, iperattività, disturbi dell’attenzione) e disturbi di apprendimento ritardo, disgrafia) patologie neuromotorie e neuropsichiatriche acute e croniche, in tutte quelle situazioni in cui il disturbo origina o coinvolge principalmente la dimensione corporea interattiva. La terapia neuropsicomotoria, inoltre, integra precocemente gli altri interventi riabilitativi nelle disabilità che derivano dai ritardi/disturbi della comunicazione verbale e non verbale, e dai deficit sensoriali.

Bibliografia

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Valente D. Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva. Roma: ed. Carocci Faber 2009.

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