Corso Annuale Pratico-Teorico
04/05/19 ottobre 2014 – Milano
Destinatari: TNPEE – Educatori Professionali – Psicologi – Logopedisti
Il gioco è una funzione dello sviluppo infantile con la quale i professionisti che lavorano con i bambini si trovano a confrontarsi. Il terapista della neuropsicomotricità ha quotidianamente il gioco in scena, sotto molteplici forme, portate dal bambino, ma create anche da lui per cui è necessario e indispensabile che una parte specifica della formazione pratica sia dedicata al gioco.
Gli strumenti che il corso utilizzerà per raggiungerli ruoteranno attorno a una presentazione teorica degli autori di riferimento, a una definizione del territorio ludico frutto di riflessioni collettive e a una consistente parte pratica in cui si creeranno spunti per il decollo dei giochi. I giochi e non il gioco; infatti, ciò che è gioco per una persona potrebbe essere una attività fastidiosa e/o faticosa per un’altra. Si sperimenteranno quindi differenti zone ludiche affinché ognuno possa riconoscere le proprie e quelle altrui così da arricchire il proprio bagaglio pratico-personale e tecnico.
Il territorio ludico – Non è semplice definire il gioco, nemmeno possiamo liquidarlo come una attività secondaria e spensierata, tipica dell’infanzia da cui l’adulto si percepisce distante perché troppo impegnato nelle attività lavorative. Del Lago e Rovatti affermano che il gioco è di certo uno spazio separato, guadagnato alla realtà, un territorio a parte della quotidianità, ma non un’oasi della gioia come lo chiama Fink, piuttosto un’isola precaria, incerta, inquieta secondo Caillois che, insieme a Piaget, è l’autore cui ci riferiamo in questo corso.
Sono diversi i parametri che costituiscono l’area ludica ed è curioso che pur essendo stati definiti e discussi in modo approfondito da autori diversi appartenenti ad aree del sapere diverse, si continui a considerare il gioco come una vaga e indefinita attività tipica dell’infanzia a cui prestare poca attenzione.
Il gioco è un’area particolare, ben distinta dalle attività del vivere quotidiane come lo studio e il lavoro in cui l’impegno e la richiesta adattiva ambientale sono pressanti. Potremmo dire che il gioco è una attività in cui l’individuo combina e modifica liberamente i rapporti tra le cose secondo un punto di vista arbitrario e soggettivo e senza la preoccupazione di ricevere una conferma o una smentita dal risultato delle proprie azioni.
Nei giochi sociali il rispetto di talune regole è la condizione per cui la modificazione arbitraria possa essere mantenuta. Il territorio ludico è una zona in cui la realtà entra trasformata e con la quale è necessario mantenere un aggancio, infatti, svanisce se la realtà della vita quotidiana vi entra in modo troppo massiccio, così come se non vi entra affatto: allora si è in un terreno onirico in cui prevale la fantasia, ma sganciata, libera da qualsiasi contatto con la realtà.
Il gusto del gioco sta proprio nell’essere sul confine di ciò che potrebbe essere vero, ma non lo è, con la piena consapevolezza del giocatore del ruolo che sta interpretando.
Nel gioco è indispensabile mantenere una certa DISTANZA, uno spazio guadagnato alla realtà, ma pur sempre vero (contemporaneamente ‘sono e non sono il lupo’) e un grande COINVOLGIMENTO (‘non sono il lupo, ma lo interpreto bene, con grande passione, ricordandoti sempre che non lo diventerò mai’). Il gioco ci deve rapire per poter dispiegarsi con pienezza.
Coinvolgimento e distanza, ma anche OSCILLAZIONE tra realtà e disimpegno e continuo CAMBIAMENTO di scena, spostamento paradossale e perciò rischioso rispetto al modo in cui normalmente siamo dentro e accanto alla realtà. L’incontro tra la realtà della vita e la realtà del gioco, così come l’interazione tra i giocatori con la loro consapevolezza, rappresentata o percepita, di essere dentro un ruolo, quello di giocatore appunto, devono avvenire in modo controllato e mascherato: “Gli individui possono trattare tra loro faccia a faccia finché sono disposti ad accettare le regole di irrilevanza, ma la funzione delle regole sembra essere quella di far si che qualcosa di scabroso venga espresso silenziosamente e nello stesso tempo interamente escluso dalla scena.”
Il gioco, ci dicono ancora Del Lago e Rovatti, come teatro che riesce a parlare solo alla condizione di nascondere quel che di importante ha da dire.
Il gioco svanisce se rivela al giocatore il suo significato.
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