ANUPI saluta con profondo cordoglio e gratitudine Giovanni Bollea, psichiatra, medico, docente universitario, fondatore della moderna neuropsichiatria italiana e primo presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria infantile, scomparso a Roma il 6 fabbraio scorso, all’età di 97 anni.
Tra i meriti più grandi di Bollea vi fu l‘introduzione di terapie non farmacologiche e non violente per i bambini con problemi psichiatrici.
Sulla scia di Melania Klein e di Anna Freud, cominciò a diffondere anche in Italia la psicoanalisi e la psicoterapia di gruppo per bambini e adolescenti, coinvolgendo nel lavoro di équipe tutti gli operatori che venivano a contatto con loro, a cominciare dai familiari. Si accostò anche alle ricerche psicopedagogiche di Jean Piaget, che contribuirono a farlo divenire il massimo esperto italiano di neuropsichiatria infantile.
La convergenza professionale rispecchiava una sintesi tra approcci apparentemente eterogenei: quello cognitivo-evolutivo, quello neurofisiologico-comportamentale e quello psicodinamico.
Con geniale lungimiranza Giovanni Bollea aveva pensato di fonderli insieme già negli anni Cinquanta, precorrendo le più recenti tendenze verso l’integrazione multidisciplinare.
Bollea divenne, fin dal 1999 membro del comitato d’onore del Premio Unicef dalla parte dei bambini, per poi ricevere, nel 2003, la laurea honoris causa in scienze dell’educazione all’ università di Urbino e nel 2004 il premio alla carriera al congresso mondiale di Berlino di psichiatria e psicologia infantile.
Costruì dal niente quello che oggi è considerato un Istituto di Neuropsichiatria Infantile all’avanguardia in Europa: in via dei Sabelli, a Roma, nel quartiere di San Lorenzo. Un “centro” ora a rischio di tagli, che lui ha difeso fino allo stremo delle forze.
“È vero che il sorriso è una capacità innata dei bambini? Sì, dopo il primo pianto, appena uscito dall’utero, vediamo il sorriso del bambino legato a quello della madre che lo guarda a sua volta negli occhi. E, subito dopo, il piccolo afferra teneramente la mammella della madre, seguito dal sorriso felice di quando lei la lascia. Il sorriso che nasce non dalla vista del volto della madre, ma dal suo profumo, rimarrà nella sua memoria per sempre. E così al primo dentino, al primo passo, all’entrata della Scuola Materna”
Era convinto che sarebbero stati proprio loro – i bambini – a distruggere l’individualismo e il consumismo della nostra epoca. Ma di Bollea affascinava anche la considerazione e il rispetto che aveva per le madri, secondo una lezione umana e scientifica nel segno dei grandi innovatori negli studi sull’infanzia come Donald Winnicott e John Bowlby.
Il destino aveva catturato questo studioso metodico e visionario, puntiglioso e rivoluzionario, affabile e intransigente, aperto a tutte le maggiori correnti del pensiero psicologico e pedagogico del Novecento.
Riprendendo il sistema americano delle Child Guidance elabora la condivisione della diagnosi e della terapia all’interno di una “gerarchia orizzontale” tra psichiatri, psicologi e assistenti sociali.
«Alla mia età sono felice al mattino quando mi alzo e realizzo che sono uno psichiatra infantile: che vedrò bambini e farò sorridere qualche madre».
Così Giovanni Bollea riassumeva il senso della sua vita, fedele all’unico, essenziale e rivoluzionario attivismo che lo caratterizzava: un instancabile dialogo con i bambini e i loro genitori.
RICORDO DI BOLLEA
di Eugenio Ghillani
Ho atteso qualche giorno prima di affacciarmi sul questo sito per dire qualcosa in sua commemorazione, e ancora adesso non sono sicuro di poterlo fare adeguatamente, di essere in grado di dire quello che vorrei e che meriterebbe fosse detto di lui.
Parlare del suo ruolo rispetto alla psicomotricità, degli anni nei quali si mise in atto il tentativo di dare una configurazione alla “materia” che tenesse insieme le varie anime, i vari punti di vista, le varie impostazioni… per poterle dare dei contorni definiti, ma soprattutto elevarla a tecnica riabilitativa, con indicazioni terapeutiche e operative tali da consentirne non solo una classificazione ma anche una base per la figura professionale, individuabile nel suo percorso formativo e riconoscibile nei suoi atti terapeutici.
Parlare dell’importanza che una figura come la sua ha avuto nella definizione e nella strutturazione della figura professionale di ciò che oggi è il TNPEE, ma che ha attraversato una vicenda lunga, faticosa e difficile, di circa trent’anni.
Non posso certo parlarne in maniera distaccata e disgiunta dal contesto di lavoro, di incontri, di convegni, che via via ha creato tra noi un rapporto umano vero e solidale.
Per me Bollea era sì il mostro sacro che era per tutti, ma era anche la persona che con grande affabilità trovava il tempo e il modo per ricevermi ogni volta ce ne fosse la necessità, non mi risparmiava i suoi ritmi di lavoro intensi e non mi faceva mancare la sua opinione riguardo ai temi in discussione.
Sicuramente la prima cosa che devo, e che dobbiamo fare, è esprimergli un GRAZIE!
Senza il suo intervento, ponderato e autorevole, sulla psicomotricità che si realizzò a partire dal 1980, attraverso l’organizzazione del Congresso di Firenze e il successivo iter di censimento delle formazioni e di riordinamento di standard comuni, la “materia” psicomotricità e le professioni ad essa connesse sarebbero state diverse.
Certo è che la consapevolezza maturata nel tempo da noi operatori e che lui stesso sintetizzò nella relazione conclusiva del Congresso di Firenze “la psicomotricità esiste ed è anche una professione” costituì il primo passo per il superamento della parcellizzazione, il primo tentativo di un cammino comune.
Cammino che non riuscì ad accomunare veramente tutti e che probabilmente oggi sentiamo incompiuto, anche per la presenza di un riconoscimento che non riflette l’identità che molti psicomotricisti percepiscono della loro professione. Quello che è certo è che Bollea aveva capito più di tutti la sostanza e la forma della psicomotricità, ne aveva colto la complessità e l’articolazione, i vari filoni di pensiero, i vari orientamenti, le varie scuole.
Diceva, in una intervista del 1989: “ In una prospettiva storica dobbiamo seguire due linee parallele: una, diremmo così, educativo-pedagogica ed una riabilitativa medico-fisiologica…”.
Complessità e articolazione che negli anni nei quali ho avuto la responsabilità di questa Associazione ho tenacemente cercato di mantenere e di valorizzare, come altrettanto tenacemente l’Associazione continua a fare anche oggi.
Un grande medico dell’infanzia, il più grande che ho conosciuto, quello che si era messo veramente, dalla parte dei bambini, aveva sposato la causa di questa professione, ha lavorato e si è speso. Grazie.
Non posso tacere, inoltre, il valore dell’insegnamento che ho ricevuto sul piano del rapporto umano, del rispetto delle opinioni, della ricerca del valore nelle idee e nei pensieri anche, apparentemente, più disarticolati e dimessi. Rappresenta bene questo aspetto un episodio che non dimenticherò. E’ un piccolo episodio legato alla preparazione del Congresso di Firenze. Avevamo gli abstracts di tutti gli interventi: si trattava di esaminarli e collocarli nelle diverse sessioni di lavoro: Bollea era in vacanza sulla neve, tuttavia ci ricevette e, per un giorno intero, lavorò con noi al programma. La cosa che mi colpì fu l’impegno che poneva a tutti gli abstracts leggendoli attentamente uno ad uno, e trovando una collocazione idonea per ciascuno nell’economia dei lavori congressuali.
Mi colpì il rispetto per il lavoro degli altri, la considerazione con la quale esaminava il contributo degli autori anche meno noti, l’interesse per quello dei più giovani, la riflessione e i commenti che rendevano utili anche i lavori più modesti.
Conservo un altro episodio, prezioso per la mia memoria: si era appena concluso il Congresso internazionale di psicomotricità di Madrid, al termine del quale si era dato appuntamento ai partecipanti al termine del quale si era dato appuntamento ai partecipanti al successivo Congresso che si sarebbe svolto due anni dopo in Italia. Andai dal professor De Ajuriaguerra per annunciargli la decisione e per invitarlo. Mi chiese: “Bollea cosa ne pensa?”
Era il punto di riferimento. Lo sarebbe stato anche per me, per noi, negli anni successivi, un punto di riferimento vero: ti ascoltava, rifletteva a voce alta discutendo con te, ti dava la sua visione…Non è mai venuto meno a questo stile. Lo stile di una persona, di un professionista che non vuole dividere, anzi vuole confrontare e valorizzare, discutere e unire….
E poi c’è l’incontro nel 2007: l’intervista che mi ha rilasciato per il Congresso di Genova. Quel suo coniugare le vicende personali con gli eventi professionali e scientifici… Il libro di Seguin ripescato da secoli lontani, ma così vicino e presente…. E quella frase: “perché non li curate … “
Suona come il testamento che ha lasciato: Bollea ha creduto, crede in noi …